"Ci accostiamo al mondo, banalmente, da collezionisti. Viaggiare, come ogni forma di intimità personale, dimostra che non possiamo aspirare a una fedeltà assoluta, incrollabile. Scrivere qualcosa è un atto puramente sentimentale, di conservazione, il tentativo di trattenere un momento, un'immagine. Scrivere di viaggi è voler sconfiggere la transitorietà del nostro essere in un certo luogo. (...) Narrare è un po' come collezionare. La cronaca, come l'acquisizione, è il tentativo fallito di difendersi dalla transitorietà".
Al ritorno dagli Stati Uniti leggo questo articolo di Helena Fitzgerald per The New Enquiry tradotto da Internazionale nel numero sul Viaggio di agosto che discute sul saggio di Walter Benjamin, Tolgo la mia biblioteca dalle casse, a proposito del rapporto tra il collezionista (di oggetti, di persone, di storie, di viaggi, di disegni) e ciò che colleziona. La mia collezione estiva dopo tre settimane di viaggio da San Francisco verso Portland e Seattle, è misera: un Moleskine large e un taccuino più piccolo come diario con schizzi in gran parte fatti a biro in dieci minuti mentre i figli mi tirano il braccio per andarsene.
L'impulso a disegnare quante più cose possibili per documentarle e portarle con sè è un atto consumistico, dicono la Fitzgerald e Benjamin, è un desiderio futile di possesso per "placare il dolore dell'impermanenza". Sigh!
In english, on Urban Sketchers
Commenti
Forse è l'intenzione con cui disegniamo che rende gli schizzi espressione di compulsione al possesso o di una gioia unica di condividere con altri la bellezza di ciò che appare solo quando lo si disegna.
Diego.
:-)