Tra i blogger presenti all'incontro di Libriamo a Vicenza c'era anche Gino Tocchetti/The knowledge ecosystem che mi ha chiesto come mi sembra che cambino nell'era di internet "le storie che si raccontano sui taccuini, che nuova idea di viaggio emerge oggi, cosa è rimasto da esplorare e soprattutto cosa merita oggi di essere fissato sulla carta con acquerelli e carboncini".
Bella domanda... Alla diffusione dei viaggi low cost, mi sembra corrisponda un aumento dei taccuini di viaggio low cost: c'è una tendenza a disegnare gli stessi monumenti con le stesse inquadrature, influenzati dalla grande quantità di disegni e immagini che ci sommergono in rete, e che abbiamo già introiettato prima di partire. Sapere come è già stato raccontato un luogo, è utile: lo faceva anche Turner, ad esempio. Il problema è trovare la propria voce, al di là della cartolina. Il mercato editoriale francese è pieno di carnet de voyage molto leziosi e tutti uguali. A volte sembrano disegnati dalle fotografie. Se anche Salgari non si era mai allontanato da casa, il risultato però dipende tutto dall'autore...
Mi interessano soprattutto due tipi di racconti visuali. Un primo gruppo è quello in cui il viaggio stesso è l'"opera d'arte". I taccuini redatti dal vero durante viaggi a piedi, in bici e a cavallo, ad esempio, dove la lentezza dello spostamento si sposa bene col disegnare; i taccuini che non si preoccupano di togliere dall'inquadratura i pali della luce, le macchine, le orde di turisti; quelli che raccontano anche delle persone che abitano nei luoghi visitati... Oppure i reportage sociali, tipo graphic journalism, come quelli che appaiono ogni settimana su Internazionale.
Un secondo filone che seguo è quello dei viaggi interiori, dei diari grafici. Qui naturalmente è ancora più difficile dire cose non banali, che abbiano un valore anche per gli altri... In Italia i taccuini di Nadia Zorzin sono l'esempio di un diario molto personale, capace però di una forza narrativa autonoma, in un equilibrio perfetto tra testo e disegno.
L'onestà e l'originalità sono più preziose di un'eccellente tecnica pittorica. Allora non è tanto cosa disegnare, ma come. Il fatto che sia già stato disegnato/descritto/fotografato tutto non ci impedisce di raccontare le stesse cose in modo nuovo. A favore del taccuino di viaggio illustrato come narrativa non-fiction, a proposito del fissare sulla carta pezzi di vita reale, come piccole, personali e incomplete storie del "qui ed ora", mi piace Magris quando scrive:
"Vivere, viaggiare, scrivere. Forse oggi la narrativa più autentica è quella che racconta non attraverso la pura invenzione e finzione, bensì attraverso la presa diretta dei fatti, delle cose, di quelle trasformazioni folli e vertiginose che, come dice Kapuściński, impediscono di cogliere il mondo nella sua totalità e di offrirne una sintesi, consentendo di afferrarne, come un reporter nel caos della battaglia, solo dei frammenti".
Aggiornamento: la risposta di Gino Tocchetti.
Bella domanda... Alla diffusione dei viaggi low cost, mi sembra corrisponda un aumento dei taccuini di viaggio low cost: c'è una tendenza a disegnare gli stessi monumenti con le stesse inquadrature, influenzati dalla grande quantità di disegni e immagini che ci sommergono in rete, e che abbiamo già introiettato prima di partire. Sapere come è già stato raccontato un luogo, è utile: lo faceva anche Turner, ad esempio. Il problema è trovare la propria voce, al di là della cartolina. Il mercato editoriale francese è pieno di carnet de voyage molto leziosi e tutti uguali. A volte sembrano disegnati dalle fotografie. Se anche Salgari non si era mai allontanato da casa, il risultato però dipende tutto dall'autore...
Mi interessano soprattutto due tipi di racconti visuali. Un primo gruppo è quello in cui il viaggio stesso è l'"opera d'arte". I taccuini redatti dal vero durante viaggi a piedi, in bici e a cavallo, ad esempio, dove la lentezza dello spostamento si sposa bene col disegnare; i taccuini che non si preoccupano di togliere dall'inquadratura i pali della luce, le macchine, le orde di turisti; quelli che raccontano anche delle persone che abitano nei luoghi visitati... Oppure i reportage sociali, tipo graphic journalism, come quelli che appaiono ogni settimana su Internazionale.
Un secondo filone che seguo è quello dei viaggi interiori, dei diari grafici. Qui naturalmente è ancora più difficile dire cose non banali, che abbiano un valore anche per gli altri... In Italia i taccuini di Nadia Zorzin sono l'esempio di un diario molto personale, capace però di una forza narrativa autonoma, in un equilibrio perfetto tra testo e disegno.
L'onestà e l'originalità sono più preziose di un'eccellente tecnica pittorica. Allora non è tanto cosa disegnare, ma come. Il fatto che sia già stato disegnato/descritto/fotografato tutto non ci impedisce di raccontare le stesse cose in modo nuovo. A favore del taccuino di viaggio illustrato come narrativa non-fiction, a proposito del fissare sulla carta pezzi di vita reale, come piccole, personali e incomplete storie del "qui ed ora", mi piace Magris quando scrive:
"Vivere, viaggiare, scrivere. Forse oggi la narrativa più autentica è quella che racconta non attraverso la pura invenzione e finzione, bensì attraverso la presa diretta dei fatti, delle cose, di quelle trasformazioni folli e vertiginose che, come dice Kapuściński, impediscono di cogliere il mondo nella sua totalità e di offrirne una sintesi, consentendo di afferrarne, come un reporter nel caos della battaglia, solo dei frammenti".
Aggiornamento: la risposta di Gino Tocchetti.
Commenti
Proprio per stare con Magris, che tu hai citato, allora la presa diretta implica anche la simultaneita' del viaggio, del vivere, e del racconto.
E porprio perche' la rete sta rendendo possibile la simultaneita' del vivere e del raccontare la propria vita, mi chiedevo come il taccuino del XXI secolo, grazie alla rete, potesse svilupparsi
Ciao. Gino
http://knowledgeecosystem.blogspot.com/2008/09/il-viaggio-in-bilico-tra-conoscenza-e.html